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Il 15 luglio alle 19:00, nella chiesa della nostra casa madre a Campi Bisenzio, abbiamo celebrato la Messa Solenne presieduta da S. E. Stefano Manetti, Vescovo di Fiesole, per ringraziare il Signore per la sua fedeltà e per il dono del carisma affidato alla nostra Beata Madre 150 anni fa.
“Andiamo a farci sante! Povere e umili, di noi avrà cura il Signore.” Sono le parole pronunciate dalla B. Teresa Maria della Croce il 15 luglio 1874. Siamo pienamente grate al Signore per la storia che ha scritto con la nostra famiglia religiosa e per tutte le sue meraviglie che continuano fino ad oggi …

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La santità consiste nel diventare finalmente quello che siamo chiamati ad essere, immagine vivente del nostro Dio, aperti alla vita dello Spirito d’amore che vive in noi e ci dona ad ogni istante di partecipare alla vita divina, unendoci a Cristo, facendoci figli amati del Padre. Questa unione di tutto noi stessi con Cristo è vera in ogni momento, l’amore è tenace e davvero nulla ci può separare dall’amore di Cristo, neppure la malattia e la morte, che in Cristo possiamo vivere con un ampio respiro di speranza e con grande consolazione. In Cristo la morte è sempre la porta ad una vita nova, eterna. Davvero la speranza è immortale, la fede è l’unico sostegno, l’amore può capovolgere il mondo.

 

Fidente nell’aiuto di Dio, con il suo Fiat nel cuore e sul labbro, saliva il suo calvario, lentamente moriva: e nessuno capiva il suo stato, neppure i medici che prendevano per nervoso ciò che altro non era che una profonda sofferenza cagionata dal riprodursi del tumore. Ella stava per stendersi sulla nuda croce, come tante volte aveva contemplato nelle sue meditazioni e alla quale aveva anche anelato come prezioso tesoro.

Sabato 23 aprile 1910, le campane a lenti rintocchi piangevano il passaggio della Fondatrice. Tutto il popolo acclamava: ” è morta la Madre! è morta una santa!”. 

S. Giovanni Paolo II, il 19 ottobre 1986, proclama Beata Teresa Maria della Croce proprio a Firenze, città che l’ha vista nascere, operare, pregare e soffrire. 

Ecco l’urgente necessità dei Santi. Essi sono i capocordata, che affermano che la speranza è immortale, la fede è l’unico sostegno, e che l’amore può capovolgere il mondo.

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Il cammino spirituale è un esercizio di riscoperta di noi stessi alla luce di Dio: per questo il nostro sguardo diviene sempre più lucido riguardo ai movimenti dell’anima, sempre più attento e consapevole di ciò che abita mente e cuore. Anelando con la totalità di se stessi a Dio, assumiamo gradualmente i tratti del suo Volto, assomigliamo sempre più a Colui che amiamo, e tutto ciò che in noi non è di Dio, viene gradualmente convertito e consegnato a Lui. Questo sguardo che acquistiamo verso noi stessi, diviene poi sguardo di comprensione e accoglienza anche per il mistero che abita l’anima di chi ci è affianco. Il cammino spirituale ci rende sempre più prossimi all’altro. In chi ci sta di fronte possiamo infatti intuire la stessa chiamata a venire alla luce di Dio. Ogni anima anela a rispondere ai dolci richiami di Dio, che vuole rigenerare a vita nuova.

Il discernimento degli spiriti non sembra un privilegio estraneo alla Madre Teresa Maria della Croce. Conosceva la via sulla quale Dio chiamava le anime. Sembrava davvero che indovinasse, che leggesse nelle anime, così fortunata era nello svolgere le pieghe della mente e del cuore. Bettina aveva intuito: scandagliava il segreto dei cuori. Aveva il dono di conoscere cose occulte e lontane. Ma anche di un altro dono era stata arricchita: quello di penetrare il futuro e così potè contare i giorni che le restavano a vivere.

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I Santi sono tali perchè sanno indicarci, come una freccia luminosa, l’essenziale della nostra vita. Il rapporto vitale che ci rigenera ad ogni respiro. Questa è l’adorazione perpetua, ogni ora del giorno e della notte. Una follia se ci si pensa, che dura tutt’ora. Eppure questo tempo di silenzio e di continuo esercizio d’amore è quello che feconda le nostre vite personali, e in modo nascosto, anche quella della stessa società in cui viviamo. L’adorazione è la preghiera più essenziale: è amore ricevuto e donato, è uno scambio di sguardi, intimo, profondo. L’Eucarestia che riceviamo nella S. Comunione, ci viene offerta all’adorazione, perchè possiamo sempre più entrare in contatto con la nostra realtà di intima unione con Dio: Egli ci unisce a sè, siamo suoi, e nulla può separarci dal suo amore.

Un giorno, trovandosi poco dopo l’imbocco di via della Scala in Firenze, Bettina vide del terreno disponibile là dove ora è via Bernardo Rucellai, e subito si domandò se non fosse stato quello il luogo scelto da Dio per il grande disegno: una casa per l’adorazione perpetua. Ella incontrò numerose difficoltà nell’iniziare l’adorazione perpetua, ma senza punto turbarsi, passò una notte intera in preghiere e il Signore la confortò con queste parole: “Ti sono mai mancato? E di che temi? L’anno scorso avevi per massima: Niente ti turbi. Quest’anno avrai: Dio solo basta!“.

L’11 gennaio 1902 l’Arcivescovo inaugurava nella Chiesa del Corpus Domini, l’Adorazione perpetua. 

Quella stessa sera la Madre scriveva alle sue figlie: “Quanto è buono Gesù con chi confida in Lui solo!“.

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La preghiera di adorazione è molto essenziale e per questo a portata di tutti: sto in silenzio alla presenza di Colui che mi ama, ricambiandogli lo sguardo. Sembra tempo perso, vuoto. Eppure è il tempo più prezioso che ci possiamo concedere: sazia infatti un bisogno e un grido che viene dalla profondità dell’anima, che chiede di amare ed essere amata. Per questo S. Teresa di Gesù ci invita a non rinunciare mai al tempo della meditazione, anche quando ci dovesse sembrare sterile o arido. I frutti di questo esercizio d’amore germoglieranno in noi senza che ce ne accorgiamo. Bettina conosceva bene questa fonte inesauribile di vita e di amore, per questo non mancava di soffermarsi nell’adorazione ogni volta che le era possibile, e facendo questo, ci illumina una strada per il nostro cammino spirituale: la relazione quotidiana e vitale con il nostro Dio, il Dio con noi.

Bettina ascoltava tutti, e appena era possibile togliersi da quell’amoroso assedio, correva a prostrarsi davanti al Ss.mo Sacramento, senza darsi pensiero nè stanchezza, nè del cibo, nè del sonno, rimanendo là immobile, inabissata nell’adorazione del Sacramento. Allora appariva come trasformata e somigliava ad un angelo per l’intensità del suo ardore, della sua preghiera, del suo amore.

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Giungiamo, in questa lettura della biografia della Beata Teresa Maria della Croce, a toccare il cuore della sua spiritualità: il rapporto con l’Eucarestia, ovvero con la presenza viva di Gesù tra noi. Questo rapporto è il fondamento della sua vita e di tutta la sua attività. Qui ella può sentirsi finalmente libera di essere piccola, tanto piccola, ma nelle mani grandi di Dio, pienamente abbandonata alla sua paternità. Questa è la bellezza dell’umiltà: toccare con mano la propria fragilità e al contempo la propria più grande forza, ovvero il rapporto con Colui che ci ha creati e dunque garantisce per la nostra vita. Questo rapporto è quello che la rende madre, amante di un amore fecondo: è il primo effetto della preghiera. Il dialogo con Dio nell’intimità di se stessi apre sempre all’ascolto dell’altro nella sua realtà di bisogno, desiderio, ricerca, e ci invita a donare per questa umanità la nostra stessa vita, per amore.

 

Come tutte le anime sante, la Madre Teresa Maria aveva la convinzione vera e profonda del nulla della creatura davanti alla Santità di Dio e scopriva nell’Eucarestia la sorgente infinita, da cui la povertà spirituale attinge l’umore necessario ad ogni fecondità. Al contatto con l’Eucarestia il suo amore si alimentava; e sempre meglio ella si fortificava in quest’umiltà. 

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Il termine vocazione – chiamata – può riferirsi a realtà di vita differenti: il matrimonio, la vita consacrata, la missione, l’impegno sociale o politico. In ascolto della voce di Dio che parla nei miei desideri più profondi e nella mia vita, posso sentire di voler sposare, ovvero unirmi e donare tutto me stesso/a,  una particolare persona, il Signore (e dunque tutte le persone che Egli mi affida), una particolare realtà. Si tratta di mettere le proprie radici e amare. Bettina è madre e maestra in particolare per chi desidera donare la sua vita a Dio nella vita consacrata, e parla non a caso di sponsalità: quel che ci unisce a Dio è l’amore, e donare a Lui e alla sua Chiesa la propria vita, lo si fa solo per amore. Ogni vocazione è dono e compito, ma è soprattutto quel che ci apre in questa vita ad amare e ad essere amati, per questo, appena ne prendiamo consapevolezza, diviene per noi fonte di grande gioia.

Per far apprezzare alle sue figlie la grazia della vocazione, le animava a “divenire vere imitatrici di Colui che ha dato la stessa vita per noi, e per giunta ci ha chiamate al sublime stato di spose”. “Se tu pensassi spesso – diceva ad una di esse – alle tante grazie che il Signore ti ha elargito avendoti prescelta nel numero delle sue intime spose, credo che i tuoi occhi spesso, come sono pieni di lacrime, li vedrei pieni di gioia”. Ad infervorarle nello spirito del Carmelo leggeva e commentava le opere di S. Teresa di Gesù e di S. Giovanni della Croce, che aveva sempre tra le mani e profondamente amava, sapendone a memoria gli squarci poetici.

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La maternità si esprime nell’atto di dare la vita e custodirla. E’ così che una donna vive pienamente il dono di Dio che è in lei, nel momento in cui ama e genera la vita. Questo è vero per ogni donna. Per la moglie e madre, per la consacrata, per la donna impegnata nella propria professione lavorativa, per la donna anziana o per la donna che vive una grave malattia. Qualunque sia la forma concreta di vita a cui una donna è chiamata, la sostanza del suo donarsi resta. E questo dono di sè, che genera e custodisce la vita, ha molte forme: l’ascolto, il consiglio, il conforto, nonchè l’attenzione ai bisogni dell’altro, fino anche…al buon umore e al sorriso!!!

 

Donna di gran cuore, Bettina sapeva tutto soffrire e affrontare ogni sacrificio per ricondurre la calma nelle menti sconvolte, nelle anime agitate. Per tutte un consiglio, un aiuto, un conforto. “La cara madre si occupava di noi giorno e notte. L’ho veduta molte volte, allorchè ero educanda, entrare nei dormitori, avvicinarsi al letto di ciascuna per vedere se riposavamo e benedirci con l’acqua benedetta. Amava la santa giocondità e durante la ricreazione delle consorelle scherzava e amava cantare lodi sacre e canzoni”.

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La pace del cuore è un frutto dello Spirito Santo, è dunque un dono, che possiamo chiedere e ricercare nella preghiera. Quando rientriamo in noi stessi, infatti, scendiamo in una profondità dove tutto è calmo e silenzioso. In superficie ci possono essere tempeste o maremoti che ci turbano, ma che poi, lo sappiamo bene, passano. Nella profondità di noi stessi, abitata da Dio e ricolma di Spirito Santo, possiamo fare esperienza di un abbandono fiducioso a Dio che ha cura della nostra vita. Questo è il punto di partenza giusto per guardare alle cose e per discernere gli eventi della nostra quotidianità: a partire da questo centro, che è il nostro rapporto con Dio.

Nel cuore delle figlie della Bettina doveva regnare sempre la tranquillità; esse dovevano servire il Signore in letizia. “E’ nella pace che il Signore è solito manifestare ciò che Egli vuole dalle sue dilette. Spero che farete di tutto per non perderla. Nella calma si vedono meglio le cose, mentre con lo spirito turbato i bruscoli sembrano travi”. “Raccomando di stare allegre nel Signore, perchè così potremo con più facilità giungere alla perfezione alla quale il Signore ci ha chiamate. Lo scontento è l’arte che tiene il demonio. Quando non potete fare altro per amore di Dio, fate un salto”. 

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Anche per il cammino spirituale, si parla di formazione, e di formazione continua. Questa consiste nel nutrire il gusto per le cose di Dio, nell’ approfondire le ragioni della nostra fede e il significato della nostra vita cristiana. Abbiamo bisogno di frequentare Dio e crescere nella sua conoscenza per amarlo sempre di più. Più approfondiamo questa conoscenza, più cresce il nostro desiderio, più ci innamoriamo di Lui e di tutto quello che lo riguarda. La Chiesa ci offre una tradizione ricchissima per scendere nella profondità di noi stessi e lì coltivare tutto ciò che più ci unisce a Dio, riconoscendo e mollando tutto ciò che invece ci ingabbia nel nostro io. Questo esercizio d’amore non è mai fine a se stesso, ma ci permette di amare di più: Dio e ogni persona che Egli ci mette accanto, fino all’umanità intera.

Bettina aveva allora 42 anni, ma le prove e i contrasti d’ogni sorta che aveva dovuto attraversare le avevano dato un’esperienza superiore all’età e quella conoscenza delle vie del Signore, quel prudente giudizio pratico, che più si richiedevano dal suo piccolo gregge. E’ dalla formazione di quelle prime sue figlie che dipende il primo indirizzo dell’opera: le altre si sarebbero formate sul modello di queste. Perciò, standole sommamente a cuore la formazione della loro vita religiosa, non cessava di raccomandar loro di essere generose con Dio, abbandonandosi a Lui nell’umiltà, nell’obbedienza, nell’amore alla Croce.

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