Siamo al centro delle Terze Mansioni del Castello Interiore. In queste stanze Teresa parla a chi ha deciso di mettersi in cammino e ha superato le seconde dimore attraversando il combattimento e la lotta contro le cose e i rapporti che vogliono prendere il posto di Dio, Ella dice: “A coloro che per la misericordia di Dio sono usciti vittoriosi da queste lotte e che, aiutati dalla perseveranza, sono entrati nelle terze mansioni, che cosa diremo, se non: Beato l’uomo che teme il Signore?” (3M 1).
Infatti è “beato” colui che ha superato la lotta con determinazione e con la decisione di non uscire più dal proprio “Castello interiore”; è felice chi è fortemente intenzionato a non interrompere mai più il rapporto d’amore che lo lega al suo Dio. Si tratta di persone ormai decise sulla via del bene, le quali “per nulla al mondo commetterebbero un solo peccato (mortale) e, molte di esse, neppure un peccato veniale avvertito” (3M 1,5 e 1,69).
Le Terze Dimore rappresentano, per moltissime persone di fede, il luogo in cui abiteranno quasi tutta la vita, o nel quale trascorreranno lunghi anni. Teresa chiama queste persone “eletti di Dio”.
Teresa parla di “timore”, non di qualunque timore bensì del “Timore di Dio”, che è dono dello Spirito Santo: esso non consiste nell’avere paura di Dio, ma nella paura di perdere il suo amore. È il timore di coloro che hanno incontrato Dio come l’amore della loro vita e non lo vogliono perdere, di chi teme di sciupare il rapporto personale con il Signore.
“Da quando ho cominciato a parlare di queste mansioni, l’immagine del giovane ricco (di cui parla il Vangelo di Mc10:17-22) mi è sempre dinanzi, perché noi ci troviamo nelle sue medesime condizioni, né più né meno” (3M 1,6).
Ecco l’immagine dell’anima che abita Le Terze Dimore, consegnataci da Teresa: il “tale” che incontra Gesù e gli chiede ansiosamente che cosa deva fare per avere in eredità la vita eterna. Si tratta di un uomo che si è molto impegnato nella sua vita, un osservante, rispettoso delle regole, e che tuttavia è ancora inquieto, in ricerca di una ricetta per la vita eterna.
Teresa annota che giungendo alle soglie delle Terze Dimore, ciascuno di noi può essere come questo uomo, può pensare cioè che la felicità, la vita piena, siano un diritto da conquistare con il proprio lavoro, il proprio impegno. Quest’uomo del Vangelo, infatti, si dimostra disponibile ad assumere un impegno ancora maggiore pur di meritare la vita eterna; quando però Gesù gli indica ciò che gli manca, ovvero “seguire Gesù”, egli se ne va rattristato.
È il rischio che possiamo incontrare in queste Dimore: guardare alle nostre opere, anche ai nostri atti virtuosi, come alla garanzia della nostra salvezza, in altre parole incastrarci nel pensare al rapporto con Dio secondo la logica del mercato, del contraccambio. Teresa raccomanda: “L’amore non deve essere fabbricato nella nostra fantasia, ma provato con opere; non pensare, però, che ci sia bisogno delle nostre opere, ma della determinazione della nostra volontà (3M 1,7). […] Perciò, se da un lato è essenziale che l’anima compia le opere dell’amore, ancora più essenziale è che ella non si soffermi su di esse. Andate oltre le vostre piccole opere” (3M 1,6).
Il settimo step ci invita dunque a continuare a mantenere l’impegno personale della preghiera non per senso di dovere, o per ottenere un premio finale, ma per amore, e con gratitudine verso un Dio generoso che ci ama fino alla fine.
Suor Dina della Santa Famiglia
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