Prima di procedere oltre nel Castello Interiore, Teresa scrive un secondo capitolo in cui dà indicazioni per navigare meglio all’interno delle prime dimore.
All’inizio, Teresa ci spiega con molta lucidità lo stato dell’anima che si trova in peccato mortale, sottolineando il disordine che esso lascia nell’uomo e nella sua interiorità. Le interessa molto evidenziare che lo stato di peccato rovina il rapporto intimo con Dio, perciò ci consiglia di essere molto attenti e vigilanti!
Tuttavia, nonostante l’uomo a causa del peccato si trovi nella tenebra oscura, Teresa assicura che il Sole splendente continua ad abitare al centro dell’anima, che così non perde il suo splendore, né la sua bellezza: “Il Sole splendente … continua a star nell’anima, e non vi è nulla che lo possa scolorire … Se sopra un cristallo esposto al sole si mette un panno molto scuro, è evidente che, anche se il sole batte su di esso, la sua luce non avrà nessun effetto sul cristallo” (1 M, 2,3).
Proprio per questo, il nostro peccato e le nostre mancanze non ci dovrebbero spaventare; come cantiamo nell’Inno dei Vespri di Quaresima: “Grande è il nostro peccato, ma più grande è il tuo amore”. Infatti la misericordia di Dio è più forte di ogni peccato.
Ciò non vuol dire che possiamo vivere in modo mediocre e prendere con leggerezza la nostra natura peccatrice. Teresa ci insegna a non aver paura della nostra fragile umanità, ma piuttosto ad avere sano timore di offendere Dio con il peccato. Ci esorta ad invocare il Suo aiuto per essere liberati dal giogo della conseguenza del peccato originale, perché “Senza il suo aiuto non si può proprio far nulla” (1M, 2,5).
L’obiettivo della Santa in queste prime Mansioni è da una parte aiutare le sue sorelle a percepirsi create ad immagine di Dio ed ammirare la grandezza della propria dignità e bellezza, e dall’altra l’essere consapevoli della propria natura segnata dalle conseguenze del peccato originale; soprattutto, essere grate di ciò che Dio opera in loro. Aveva molto a cuore di insegnare loro a guardarsi con uno sguardo oggettivo, sano e concreto.
Uno dei temi più importanti in queste prime dimore è la conoscenza di sé. Sembra un impegno specifico, che inizia in queste stanze, ma che si dovrà mantenere costantemente attivo fino all’ultima mansione.
Il conoscimento di sé di cui parla Teresa non significa compiere un’analisi più o meno psicologica, bensì è il guardarsi sotto lo sguardo di Dio, a partire dalla Sua chiamata ad una comunione intima. Infatti aggiunge subito che l’uomo conosce se stesso veramente solo quando conosce Dio: «Mai finiremo di conoscerci se non procuriamo di conoscere Dio. Guardando la sua grandezza, conosceremo la nostra bassezza, guardando la sua purezza, conosceremo la nostra sozzura, considerando la sua umiltà, conosceremo quanto lontani siamo dall’essere umili» (1M,2,9). Conoscere Dio significa rispondere alla sua chiamata e alla comunione con Lui, in Cristo (cf. Gaudium et Spes, 19). E a proposito della conoscenza di sé, fa riferimento all’umiltà, e precisamente all’umiltà vera di Cristo (cf. Fil 2,6-8) esortando a “camminare nella verità davanti a Lui” (V 40,3).
Uno dei consigli pratici che ella dà per questo cammino della verità è: “Fissare gli occhi su Cristo, nostro bene, e sui suoi santi: da essi impareremo la vera umiltà, la nostra intelligenza ne resterà nobilitata e la conoscenza di noi stessi non ci renderà vili e negligenti” (1M, 2,11). Essendo ancora nelle prime dimore, si tratta di un procedere progressivo verso la Luce, all’interno del Castello. “Non giunge ancora quasi nulla della luce che emana dal palazzo dove abita il Re. Sebbene le dimore non siano così nere e tenebrose come quando l’anima è in peccato, la luce ne è in qualche modo offuscata, tanto che chi si trova lì non può vederla … È come se uno entrasse in una sala inondata di sole, avendo gli occhi così pieni di terra da non poterli quasi aprire” (1M, 2,14).
Teresa ci invita a metterci a nudo davanti al Signore, convinta che solo alla luce di Dio noi vediamo la luce di noi stessi e possiamo toccare la nostra realtà interiore, compresi gli aspetti oscuri che non ci piacciono, che non vorremmo, che non accettiamo e cerchiamo di mascherare e negare. Questi li rappresenta come animali e serpenti pericolosi che ingannano l’anima a procedere nel cammino verso il palazzo reale, quindi ci spinge a combattere contro di loro e a non cedere davanti alla tentazione di evadere da questo contatto, fuggendo e lasciando il proprio edificio interiore. Questo ci rimanda al Vangelo delle Tentazioni secondo Marco (Mc 1,12-15), che presenta Gesù che stava con le belve selvatiche, immagine di un’umanità riconciliata con sé stessa e modello dell’uomo che fa pace con la propria fragilità. Solo in questo modo “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv8,32).
Dunque il quinto step consiste nel prendersi cura del proprio rapporto con il Signore in questo modo:
– affronto le bestie velenose che impediscono il mio cammino verso il Re. Come? Nel silenzio della preghiera ne prendo consapevolezza, do loro il giusto nome
– Non scappo. Chiedo l’aiuto al Signore, la grazia della determinazione. Invoco lo Spirito Santo, affinché mi dia consolazione
– Se mi sento solo in questo cammino interiore, se provo scoraggiamento, paura o desolazione in questo passo verso la stanza principale, riporto il mio pensiero a Dio. Rinnovo la certezza che Egli è presente nella mia vita. Rimango in questa consapevolezza. Può aiutarmi ripetere le parole di un salmo, come ad esempio: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”, oppure una giaculatoria: “Tu Signore sei la mia forza”, oppure “Niente ti turbi, niente ti spaventi” o semplicemente il nome di Gesù, o il nome di Padre, Abbà.
Sr Dina della Santa Famiglia
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