Strofa 4
O boschi e fitte selve,
piantati dalla mano dell’Amato!
O prato verdeggiante
di bei fiori smaltato,
ditemi se qui egli è passato!
L’anima contempla la bellezza della natura e vi trova i segni del Creatore. San Giovanni della Croce ci indica che l’anima, nel suo cammino verso Dio, passa attraverso la conoscenza di sè stessa delle strofe precedenti, e prosegue attraverso lo stupore di fronte al creato, segno della sua grandezza. L’anima si sente fortemente spinta verso l’amore del suo amato Dio dalla riflessione sulle creature, vedendo che sono state create dalla mano di Lui. Questo è un invito rivolto anche a noi: ritagliamoci del tempo di silenzio camminando nella natura, fosse solo anche il parco vicino casa nostra. Soffermiamoci sui particolari: dei colori, dei profumi, del canto degli uccelli. “Rimaniamo in contatto con la natura. Possiamo contemplare l’azzurro del cielo, ascoltare le acque del ruscello che sussurrano, guardare le formiche, meravigliarci della bellezza di un fiore, sentire il vento sul nostro volto o lasciarci colpire dal gioco delle nubi nel cielo…Ciò che conta è che non giudichiamo niente e che non vogliamo cambiare niente, ,a che accogliamo tutto così come si manifesta”. “Stavo volentieri nella natura, ma non mi accorgevo di quanto essa mi stesse cambiando interiormente” (Franz Jalics).
L’esercizio sta nel percepire: la percezione è un atto spirituale, permette di rimanere nel presente e di prendere consapevolezza del dono che ci viene dato attraverso la realtà che ci circonda, in modo sensoriale (attraverso la vista, l’udito, l’olfatto) e poi spirituale.
Impariamo a sostare nella percezione, staccandoci dal pensare e dal fare.
Strofa 5
Mille grazie spargendo
qui pei boschi s’affrettava
e, mentre li guardava,
la sola sua presenza
adorni di bellezza li lasciava.
Le creature (il creato) sono come un’orma del passaggio di Dio, per mezzo della quale si scorgono la sua grandezza, la sua potenza, la sua sapienza e le altre virtù divine.
Dio guardò le cose che aveva fatto ed erano molto buone (Gen1).
Grazie all’Incarnazione del Figlio e alla sua Resurrezione, Dio ha rivestito ogni creatura di bellezza e dignità.
Strofa 6
Ah! chi potrà guarirmi?
Alfin, concediti davvero;
e più non mi mandare
da oggi messaggeri
che non sanno dirmi ciò che bramo!
Nella viva contemplazione e nella conoscenza delle creature l’anima vede con grande chiarezza di quanta grazia, bellezza e virtù sono state dotate da Dio. Una bellezza comunicata dalla infinita bellezza dell’immagine di Dio.
Per questo l’anima è sempre più ferita d’amore: vede i segni dell’Amato nel creato e desidera finalmente incontrarlo personalmente, possederlo.
Le creature le hanno fatto aumentare l’amore e dunque il dolore per la lontananza dell’Amato.
Quanto più l’anima conosce Dio tanto più sente crescere in sè il desiderio di vederlo.
L’anima constata che nulla la può guarire da questo dolore se non la presenza e la vista dell’Amato.
L’anima gli chiede dunque il dono della sua presenza.
L’anima vuole conoscere Dio nella sua essenza, non si accontenta più dei suoi doni nè dei suoi segni.
“Io ti voglio tutto, mentre essi (i messaggeri, le creature) non sanno e non possono dirmi tutto di te”.
Quante volte ci capita di cercare appagamento o consolazione all’esterno, nelle relazioni, nel lavoro, nello svago, ma nulla sa colmarci fino in fondo, nulla riesce a darci la vita cui aneliamo?
Strofa 7
E quanti intorno a te vagando,
di te infinite grazie raccontando,
ravvivan così le mie ferite,
e me spenta lascia non so cosa,
ch’essi vanno appena balbettando.
Le creature balbettano all’anima l’immensità dell’amore di Dio, per cui ella si sente di morire d’amore.
San Giovanni della Croce descrive dunque il dolore dell’anima come ferita, che è più leggera e passa presto perchè causata dai segni dell’Amato presenti nella natura, nelle creature. Come piaga, che è impressa maggiormente nell’anima e dura più a lungo, perchè a causarla sono i segni d’amore ancor maggiori dell’incarnazione del Verbo e dei misteri della fede. Tali segni d’amore sono ancor più grandi per cui producono nell’anima un effetto ancor più profondo di amore. Poi vi è un dolore simile alla morte, in cui l’anima desidera vivere una vita d’amore ed essere trasformata in amore, e che è causata da un tocco d’amore, da quel non so che che viene detto balbettando. L’anima chiama questo tocco d’amore “un non so che”, perchè non riesce nè a capirlo nè a dirlo, ma lo gusta. Tale tocco provoca in lei un amore impaziente, di chi anela ardentemente l’unione con l’amato.
Strofa 8
Ma come duri ancor,
o vita, se non vivi ove vivi,
se ti fanno morir
le frecce che subisci
da ciò che dell’Amato concepisci?
In questa strofa l’anima parla alla sua stessa vita, mettendo in risalto il dolore che le causa ricevere questi continui tocchi dell’amore di Dio (le frecce), senza però riuscire a incontrarlo e a unirsi a Lui totalmente, come vorrebbe. L’anima vive in ciò che ama, ella ha la sua vita in Dio. L’anima è consapevole di ricevere da Dio la vita e l’amore, la vita fisica e quella spirituale, di partecipazione al suo amore. I tocchi d’amore che ella riceve da Dio la rendono feconda e rendono il cuore in grado di comprendere almeno in parte il grande amore di Dio per lei.
Strofa 9
Perché, avendo questo cuor
piagato, poi non l’hai sanato?
E avendolo rubato,
perché me l’hai lasciato
e non cogli la preda che hai rubato?
L’anima capisce che l’unica medicina che può guarire il suo dolore è quella di mettersi nelle mani di Dio affinchè Egli si unisca totalmente a lei con la forza del suo amore. L’anima chiede allora all’Amato perchè le ha ferito il cuore con il tocco del suo amore e non glielo guarisce con la sua presenza. L’anima è innamorata, il suo cuore è tutto dell’Amato, chiede dunque all’Amato di farlo finalmente suo, di godere della sua dolce presenza. Perchè non prendi il cuore che hai rubato per amore, per riempirlo, sfamarlo, accompagnarlo, guarirlo lasciandolo abitare e riposare pienamente in te? L’anima che ama Dio spera da Lui come ricompensa la totalità di questo amore divino.