Dal «Castello interiore» di santa Teresa di Gesù, vergine
Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, dove sono molte dimore, come molte ve ne sono in cielo. Io non vedo nulla a cui paragonare la grande bellezza di un’anima e la sua immensa capacità.
Sì, sappiamo di avere un’anima, perché lo abbiamo sentito e perché ce lo insegna la fede. Ma i beni che può racchiudere quest’anima o chi abita in essa, o il suo inesauribile pregio, sono cose che consideriamo raramente. Di conseguenza, ci si preoccupa poco di adoperarsi con ogni cura a conservarne la bellezza: tutta la nostra attenzione si volge sulla rozza incastonatura di questo diamante o sul muro di cinta di questo castello, cioè il nostro corpo.
Questo castello contiene molte dimore, alcune in alto, altre in basso e altre ai lati. Nel centro, in mezzo a tutte, si trova la principale, che è quella nella quale si svolgono le cose di maggior segretezza tra Dio e l’anima.
Ora, dobbiamo vedere in che modo potremo entrare in questo nostro meraviglioso e delizioso castello. Sembra che dica uno sproposito, in quanto se questo castello è l’anima, evidentemente l’entrare non ha ragion d’essere, poiché si è già dentro. Ma ci sono molte anime che restano nella cerchia esterna del castello, e non si preoccupano di entrare in esso né di sapere cosa racchiuda una così splendida dimora, né chi sia colui che la abita, né quali appartamenti contenga. Avrete già visto in alcuni libri di orazione che si consiglia all’anima di entrare in se stessa; ebbene, è proprio questo.
La porta di entrata a questo castello è costituita dall’orazione e dalla meditazione.
Ma voglio esortarvi a considerare cosa deve essere lo spettacolo di questo castello così risplendente e così bello, quando l’anima cade in un peccato mortale. Non vi sono tenebre più buie, né nulla di così oscuro e fosco che possa reggerne il confronto. Non cercatene altro motivo che questo: lo stesso sole che le dava tanto splendore e bellezza, pur stando nel centro di quest’anima, è come se non ci fosse più; come se l’anima non potesse più partecipare di lui.
Conosco una persona alla quale nostro Signore volle mostrare che cosa sarà di un’anima che ha commesso un peccato mortale. Secondo lei, sarebbe impossibile che qualcuno, comprendendolo, potesse peccare. Per fuggirne le occasioni, avrebbe preferito esporsi alle maggiori prove che sia dato immaginare.
Quella persona diceva di aver ricavato due vantaggi dalla grazia accordatale da Dio: anzitutto un timore grandissimo di offenderlo, pertanto lo supplicava continuamente di non lasciarla cadere, essendo consapevole dei terribili danni che una caduta comporta; e, in secondo luogo, uno specchio di umiltà, nel quale vedeva come il principio del bene che facciamo non sia in noi, ma in questa fonte nella quale è piantato l’albero delle nostre anime, e in questo sole che feconda le nostre opere.
Queste cose interiori sono tanto difficili da capirsi, però è molto importante per voi che io ve le spieghi come meglio potrò, perché sentiamo sempre parlare dell’eccellenza dell’orazione, ma non ci viene spiegato più di quello a cui possiamo arrivare da noi stesse. Delle cose che il Signore opera in un’anima, intendo dire soprannaturali, si dice ben poco, mentre parlandone e spiegandole in diverse maniere se ne trarrebbe un gran conforto, per la considerazione di questo celeste edificio interiore così poco capito dai mortali, benché siano molti quelli che vi si trovano.
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