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L’invito di questa domenica riprende in modo esplicito e forte il tema dei Vangeli letti in questa settimana. E’ un tema fondamentale se in tutto questo tempo il Signore non cessa di sottolinearlo, di riprenderlo e ripeterlo con parole nuove, per accompagnarci a fare un salto di qualità.

Che salto ci invita a fare?

Ci invita ad entrare dentro, ci invita a prenderci cura della nostra interiorità, del nostro cuore. E’ il luogo in cui siamo VERI. E’ il luogo di relazione viva con Lui. E’ un luogo spesso pieno di luci e di ombre, di bene e di male, per questo non possiamo trascurarlo. Curare la propria interiorità, significa entrarci con il Signore e permettere che  Lui guarisca ciò che sanguina, converta ciò che che è corrotto, apra i nostri sepolcri e porti la sua luce nelle nostre oscurità.

Ecco la nostra preghiera oggi: proviamo a porre l’attenzione nelle Parole che ascoltiamo durante la S. Messa, nei gesti e nei silenzi, in modo che anche il cuore possa unirsi a questo movimento di grazia. Fermiamoci poi in una preghiera personale, in silenzio, consapevoli della presenza del Signore, nudi di fronte a Lui, e coltiviamo così una relazione con Lui vera: questa relazione fondante convertirà anche le nostre relazioni con gli altri, che diventeranno autentiche, e non più o non solo basate sull’immagine sociale, su maschere o difese, che a volte sentiamo il bisogno di costruire per sentirci accettati o per valere qualcosa nel nostro ambiente di lavoro o di amicizie. Andiamo al cuore.

sr Marta del Verbo di Dio

 

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Continuiamo il Vangelo di Giovanni 6, in cui Gesù si rivela a noi come il Pane della nostra vita, il nutrimento che ci dà la vita.

Ma la Mensa a cui ci invita, è la mensa del suo Corpo, e anche la mensa della sua Parola.

Ogni volta nella S. Messa ci nutriamo della sua Parola di Vita, attraverso l’ascolto, e del suo Corpo, unendoci a Lui nell’Eucaresita.

“Le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita

Scegliamo ora chi ascoltare. Ci sono molte parole che risuonano nella nostra interiorità, nella nostra mente e nel nostro cuore. Alcune si fissano e ci colpiscono dentro come martelli pneumatici. Ma non sempre sono parole che ci danno vita. A volte, ci accorgiamo che i nostri dialoghi interiori, oltre che ripetitivi, ci tolgono speranza, fiducia, ci causano rabbia o tristezza, ci fanno spegnere o morire dentro.

Scegliamo ora chi ascoltare. C’è una Parola di vita che ci viene rivolta, che è anche spirito vivificante, che ci dona la vita. La sua Parola ci dona speranza, ci fa sentire amati. Questa Parola ci provoca per farci crescere, per questo può sembrare all’inizio dura o scomoda, ma perchè ci mette in discussione per sbilanciarci verso un passo nuovo.

“Tu hai parole di vita eterna” Da questo riconosciamo la Parola di vita: ci dona una vita duratura, non effimera, non si spegne alla prima difficoltà. E’ una Parola in grado di donarci la vita.

I Padri della Chiesa, pensiamo ad Evagrio Pontico, ci insegnano dunque questo esercizio: discernere tra le parole che emergono in noi durante il silenzio. Discernere tra le parole urlate o sussurrate che arrivano a noi dall’esterno. Riconoscere quelle che ci turbano, ci avvelenano. Scegliere e ripetere nel proprio cuore quella Vera, quella di Cristo, che ci porta pace e ci introduce in un cammino di libertà e verità. Nutre il profondo del nostro essere. Custodire questa Parola di vita, è custodire la persona di Cristo, la relazione con Lui, il suo soffio vitale, con cui noi stessi siamo stati pronunciati e abbiamo ricevuto la vita.

sr Marta del Verbo di Dio

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Continua il Vangelo di Giovanni 6. Il Signore ci fa prendere contatto, ancora, con la nostra fame. Con i nostri vuoti. Come riempiamo il senso di mancanza, di non essere appagati, di inquietudine? A chi o a cosa chiediamo vita? Cos’è quella cosa o quel rapporto che, se ci venisse tolto, ci sentiremmo morire? A volte chiediamo di essere sfamati da abitudini, appagamenti o relazioni, che ci rendono dipendenti senza essere peraltro in grado di darci quella pienezza che aneliamo. Magari in sè sono tutte cose buone, ma è mal collocata la nostra ricerca di nutrimento profondo per la nostra esistenza. Così facciamo “violenza” alla realtà pretendendo che ci appaghi come desidereremmo. Usiamo relazioni o situazioni per colmare vuoti che invece si fanno sempre più profondi e ingestibili. O viviamo dentro di noi una profonda tristezza, una fame d’amore che si fa sentire tanto di più quando non abbiamo niente da fare.

Io sono il pane vivoChi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna. Il Signore afferma ancora una volta che la relazione con Lui è il vero nutrimento per la nostra esistenza, poichè Egli solo è in grado di donarci la sua vita, e vita in abbondanza. L’Eucarestia è proprio il sacramento di questo desiderio di Dio: unirsi a noi per darci la sua vita.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Rimanere è un verbo fondamentale nel Vangelo di Giovanni e indica più di un occasionale frequentarsi: è il verbo di chi prende dimora, di chi non scappa da questa relazione, ma la abita stabilmente.

Nella nostra preghiera silenziosa, possiamo dunque prenderci finalmente il tempo per restare con il Signore e lasciarci saziare dal suo amore. Forse non sentiremo questo amore: magari emergerà maggiormente la nostra fame, in termini di noia o irrequietezza. Ma restiamo fiduciosi con Lui, sediamoci al suo banchetto e lasciamo che ci serva, che si prenda cura di noi, così come siamo in questo momento.

Come dice il salmo di oggi:

I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.

sr Marta del Verbo di Dio

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Gv 6, 41-51

Gesù ascolta anche le parole dette a bassa voce, quelle appena sussurrate…In questo brano, Egli avverte che i nostri discorsi pronunciati sommessamente, come di nascosto, esprimono un disagio, un turbamento. Li porta dunque alla luce, dialoga con questa nostra interiorità un po’ “oscura”, che ha imbarazzo a farsi sentire. In dialogo con Lui, i nostri pensieri entrano nella relazione con Dio Padre e conoscono la verità.

In questa domenica dunque, possiamo osservare  i pensieri più ricorrenti nella nostra mente e nel nostro cuore, quei ritornelli che si fissano dentro di noi. Proviamo poi ad esprimerli per metterli in dialogo con la persona di Gesù, Verbo della Vita, parola di verità. La Parola, infatti, “discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”.

Lo scandalo che blocca i Giudei, è Gesù, vero Dio e vero uomo. L’incarnazione li scandalizza. Come possono dei volti tanto vicini e ordinari, come quelli di Giuseppe e di Maria, parlare di Dio? Come può la nostra realtà quotidiana con le persone che ci circondano, nella loro semplicità e a volte mediocrità, portarci all’incontro con Dio? Forse ci aspetteremmo un Dio che ci strappa da questa ordinarietà per farci vivere un’esperienza straordinaria che evada da ogni banale routine della nostra vita.

Nella preghiera, nel silenzio, impariamo invece ad accogliere la realtà, di noi stessi, degli altri e della vita, così com’è, senza la pretesa di cambiarla o l’istinto di evaderla, ma cogliendo in essa la grande benedizione che Dio ci riversa, la terra sacra in cui possiamo ogni giorno incontrarlo e unirci a Lui. Rimaniamo dunque in questa immobilità passiva, che semplicemente accoglie consapevolmente il dono della vita dalle mani di Dio.

Gesù risponde rivelando il mistero della sua persona, che si può raccontare solo in relazione al Padre. E così anche noi, se vogliamo finalmente capire chi siamo veramente, possiamo farlo solo in questa relazione.  “Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me”. L’ascolto è il senso privilegiato che ci introduce in questa relazione.

Questo ci riporta di nuovo alla nostra preghiera, possiamo ora porci attivamente in ascolto della Parola che ci viene incontro, lasciando per un po’ tacere ogni altra voce, e custodendo l’ispirazione o la Parola che più ci colpisce del Vangelo.

Gesù rivela la sua identità: Io sono il pane della vita. Io sono il pace vivo.

Nutriamoci di Lui, per trovare la vita, per farci rigenerare interiormente a vita nuova. Egli è la manna che ci sotiene nei deserti che la vita ci fa attraversare. Egli è il pane, nutrimento quotidiano che si lascia assimilare per unirsi totalmente a noi e trasformarci in Lui stesso.

Sediamoci dunque a questo banchetto della grazia, non rifiutiamo l’invito che ci chiama dal profondo della nostra anima:

Perché spendete denaro per ciò che non è pane,

il vostro patrimonio per ciò che non sazia?

Su, ascoltatemi e mangerete cose buone

e gusterete cibi succulenti.

Porgete l’orecchio e venite a me,

ascoltate e voi vivrete.

Isaia 55,2-3

Suor Marta del Verbo di Dio

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Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente. 

Le parole del salmo di oggi mettono in preghiera il Vangelo di oggi (Gv. 6,1-15): il rapporto con la persona di Cristo sazia ogni nostra fame.

Il nostro essere ha profondamente bisogno di questa relazione che possiamo coltivare nel silenzio e nella preghiera.

E il rapporto con Cristo ci restituisce sempre alla relazione con l’altro. L’abbondanza del dono di Dio nella nostra vita viene dalla condivisione. La mancanza, l’insufficienza e il bisogno che sperimentiamo in diversi modi nella nostra vita, diviene spinta alla relazione con gli altri e motivo di reciproca carità. Si trasforma così in un tesoro relazionale che vale molto più di qualsiasi piccola o grande fame soddisfatta.

Nella preghiera, dunque, proviamo a “mettere giù” il nostro sguardo su ciò che è mancante e proviamo ad assumere lo sguardo di Cristo, che invece già vede un’occasione per amare, per donarsi.

“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci” – mettendoci in gioco, donandoci con quello che siamo, a partire dallo sguardo che Cristo ha per noi, tutto misteriosamente cresce, si moltiplica, abbonda, diviene inesauribile.

sr Marta del Verbo di Dio

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Mc6,30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Il Vangelo di questa domenica sembra essere una piccola guida per entrare in rapporto con la persona di Gesù: parlare con Lui, raccontandogli quello che penso e provo, i fatti della mia giornata, le mie impressioni. Consegnargli tutto, come ad un amico.

Poi però Egli ci invita anche a stare un po’ raccolti in disparte, nel silenzio, in un luogo tranquillo dove non ci sono distrazioni. Ci invita a un tempo di intimità, in cui siamo soli con Lui, e possiamo riposarci, possiamo essere passivi e accoglienti del suo amore, la nostra anima può riprendere respiro. I momenti in cui non facciamo nulla possono essere faticosi, perchè ci sembra di perder tempo o ci annoiamo, o viceversa, vi troviamo grande sollievo e benessere. In ogni caso, ne abbiamo bisogno per “ritornare a casa”, in noi stessi, lì dove siamo più intimamente uniti a Dio.

Questo tempo di “vuoto” crea lo spazio per l’ascolto, l’accoglienza della sua Parola.

L’invito del Signore a restare con Lui viene dalle sue viscere di misericordia, di compassione: Egli si prende cura di noi. Si accorge dei nostri bisogni materiali e spirituali e ci invita a trovare nella preghiera un tempo di ristoro. Egli è il nostro pastore, se seguiamo Lui allora verremo saziati e dissetati nella profondità del nostro essere, e saremo custoditi da ogni pericolo, da ogni paura. Egli è il nostro pastore, nulla ci manca.

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Mc 6,7-13
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Gesù ci dà un potere sugli spiriti impuri, ovvero la capacità di non esserne schiavi, ma di sottometterli. Ci possono turbare pensieri negativi o possiamo sentirci ingabbiati e incapaci di vivere in pienezza. La fede in Cristo forse non cancellerà in un attimo ogni nostra difficoltà, ma di sicuro ci pone in un cammino di liberazione e di libertà. In questo viaggio, che facciamo sempre in compagnia di un fratello o una sorella, ci viene chiesto di portare solo un bastone. Ciò richiama subito alla mente Mosè che con il suo bastone divideva le acque e permetteva il passaggio del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà della terra promessa. Con questo bastone, che sembra simboleggiare tale potere sugli spiriti impuri e sulla morte che ci viene conferita dall’unione con Gesù, possiamo dividere e dunque discernere, tra ciò che è di Dio e quello che non è di Dio, e così fare il nostro passaggio dalla schiavitù del male alla libertà dei figli amati da Dio. Il governo delle nostre passioni negative, che ci rendono schiavi, e l’esodo, ovvero il passaggio verso la libertà interiore, non è l’unico tema di questo Vangelo. Un altro punto importante è l’accoglienza: ai discepoli chiede di tuffarsi nell’avventura della relazione, di entrare nella casa dell’altro e rimanervi. Non possono sapere che situazioni troveranno, potranno trovarsi a casa di peccatori e persone impure, eppure a loro viene chiesto di entrarvi e rimanere. Di accogliere incondizionatamente, con grande apertura di mente e di cuore. Questo è vero anche dall’altro punto di vista, di chi apre la porta a questi messaggeri di Dio, che la vita ci manda. Ci viene chiesto ancora una volta di aprire la porta del cuore e accogliere la parola della libertà.

Nella nostra meditazione dunque, lasciamo andare tutto ciò che in noi “non è di Dio”, facciamo spazio in noi per aprirci invece alla persona di Gesù e alla sua Parola, gustiamo la libertà interiore che la preghiera (intesa come relazione personale con Lui) ci dona.

sr Marta del Verbo di Dio

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E che sapienza è quella che gli è stata data? Con stupore contempliamo una sapienza che è dentro ogni cosa. E’ proprio la piccola via di S. Teresa di Gesù Bambino: non è mediocrità, ma il vivere la propria realtà, piccola o grande che sia, con la misura del figlio di Dio. Lasciarsi stupire dal suo operare, anche quando passa per le situazioni più quotidiane della vita. Diventi questa la nostra preghiera di oggi: pura contemplazione. Puro sguardo verso la realtà in cui sono. Sguardo lucido. Sguardo aperto allo stupore. Sguardo aperto all’ascolto. Sguardo vigile sul qui ed ora. Sguardo attento alla presenza di Dio, che benedice ogni situazione, che è la nostra forza proprio lì dove osserviamo la nostra più grande debolezza. La realtà di noi stessi o delle persone che ci stanno accanto, o le situazioni che viviamo, ci possono scandalizzare: non sono all’altezza dei nostri ideali. Allora ci possiamo avventare con durezza e giudizio contro quel che siamo. Ma così possiamo solo aggredire la realtà, o far male a noi stessi. Si cambia solo ciò che si ama. E per amare abbiamo bisogno di perdonare noi stessi, gli altri e quel che viviamo, di non essere così come vorremmo. Di essere altro, con le proprie luci e le proprie ombre. Ma proprio in questa realtà così imperfetta si incarna il Verbo di Dio, che continua a parlarci di amore e misericordia, che ci parla di un’intelligenza che è dentro ogni cosa ed ogni evento, ovvero l’amore sorgivo di Dio Padre, il suo amore provvidente, che sempre opera per il nostro bene. Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio: ancora una volta siamo interrogati sulla nostra capacità di credere, di avere fiducia in Lui, che compie prodigi proprio lì, dove siamo.

sr Marta del Verbo di Dio

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La vita chiede di prendere dei rischi, lasciando la propria zona comfort e passando ad un’altra riva. Questi passaggi potremmo farli da soli, contando solo sulle nostre forze. Oppure possiamo portare con noi un amico e maestro: Gesù. Nelle scelte e nei passaggi della nostra vita, facciamo esperienza di tempi morti, come di grandi sconvolgimenti. La tempesta è il simbolo di ogni evento che ci mette sottosopra, provoca in noi paura, ci sentiamo travolti dagli eventi o da sentimenti e pensieri negativi, che sembrano toglierci la vita dalle mani. Gesù in tutto ciò, dorme. Dorme come bimbo in braccio a sua madre. Si tratta di un atteggiamento di grande vulnerabilità, e al contempo di totale abbandono e fiducia.
Nella nostra preghiera, possiamo dunque permetterci di essere finalmente vulnerabili. Proviamo a riportare nella memoria una situazione difficile, o di agitazione o precarietà. Proviamo a nominare i sentimenti che provoca in noi, a individuare i pensieri ricorrenti. In questa preghiera, abbandoniamoci con fiducia alla custodia di Dio, che è con noi, pronto con la sua Parola a riportare la calma e la pace. Soffermiamoci con gratitudine ad assaporare la pace che ci viene donata dalla presenza del Signore nella nostra vita. La nostra paura si trasformi piano piano in timor di Dio, ovvero in stupore e fiducia perchè Egli è il Signore della nostra vita, e come tale la custodisce. Siamo in buone mani.
sr Marta del Verbo di Dio
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Con il brano di oggi entriamo in quella parte del Vangelo di Marco che è tutta dominata dall’insegnamento in parabole di Gesù, dato attraverso paragoni tratti dalla vita vissuta: racconti concreti che cercano di esprimere qualcosa del mistero di Dio, immagini vive che si imprimono negli occhi, nella mente, nella memoria rinviando a realtà più profonde.

Le due parabole che ascoltiamo oggi hanno un comune sfondo: un campo, un seme, dei seminatori. Immagini della forza di Dio, che è presente nella storia e la trasforma dall’interno, al di là di ogni apparenza e di ogni nostra aspettativa. Il suo disegno si compie, ben al di là della nostra impazienza.

Il seme deve essere coperto dalla terra, avvolto dal buio; deve marcire, disfarsi. Per un lungo periodo il seminatore non vede alcun segnale, ma proprio da lì, a suo tempo, nasce la vita. È la pazienza della fede: accogliere il mistero dell’opera silenziosa di Dio che agisce in ogni cosa. Il seme sprigiona da sé una forza inarrestabile, di fronte alla quale l’agricoltore non può far altro che guardare e rimanere stupito.

E stupisce anche il fatto che Dio agisce attraverso ciò che è semplice, piccolo, banale, apparentemente inutile, facendo fiorire in esso, in modo sorprendente, la sua presenza, la sua potenza. Come ci insegna san Paolo, è nella piccolezza che Dio manifesta la sua forza e la sua grandezza.

Tutta la storia è in cammino verso la pienezza del regno. C’è una forza interna al mondo che è da Dio, non dipende da noi, ed è all’opera in modo spesso misterioso, silenzioso e umile. Il bene cresce, si sviluppa, nonostante le tante resistenze. Dio è all’opera: nella storia del mondo, nella storia dell’umanità intera, nella storia di ogni uomo, nella mia storia. Mi chiede di mettere in atto tutte le energie di natura e di grazia di cui dispongo: Egli dal poco che posso offrire saprà trarre il molto secondo i suoi imperscrutabili disegni.

sr Sara della Trinità

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