Anniversario dei 150 anni

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A volte per ascoltare la voce di Dio, è sufficiente accogliere gli eventi della vita, anche quando rovesciano i propri progetti o intenzioni iniziali. E’ anche attraverso i fatti concreti della nostra storia, infatti, che il Signore ci fa comprendere quale strada imboccare e come donare noi stessi nell’amore. Il cammino dunque è sempre il frutto di un dialogo a più voci, tra i nostri desideri profondi e Dio, che ci conosce nell’intimo e sa qual è il bene per noi, in una vita fatta di sorprese, imprevisti, limiti, relazioni e incontri, che possono in breve tempo rivoluzionare tutto, ma mai a caso. Il Signore ci doni l’intelligenza della fede per riconoscere in ogni evento il suo agire provvidente e buono.

Vita contemplativa soltanto o vita anche attiva in mezzo alla società? Bettina era venuta a conoscenza che una povera donna del paese era gravemente inferma e volle venirle in soccorso prestandole la sua assistenza e, insieme alle consorelle, vegliò giorno e notte al suo capezzale. La mamma disse, pensando alle sue figlie: “Che sarebbe stato di loro? O Bettina, io morirei contenta, se queste mie povere piccine le prendessi tu!” La Bettina le ricevette con amore di madre e loro dicevano: “Voglio bene a lei, quanto alla mamma di ciccia”. Da quel momento Bettina si apriva alla chiamata divina per l’azione.

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Coltivare una sensibilità per le cose di Dio significa crescere nella conoscenza del cuore e dell’anima, propri e di quelli degli altri. Perchè Dio risiede proprio nel nostro essere più profondo. La conoscenza di Dio ci svela a noi stessi. Diveniamo compassionevoli, capaci di ascolto dei moti del cuore, capaci di accoglienza e comprensione. Si apre dunque un’altra dimensione della vita, che è essenziale: la vita dello spirito. Veniamo restituiti alla nostra integrità originale: lo spirito, l’anima e il corpo della nostra persona è un tutt’uno unito a Dio.

 

Al Conventino accorrevano pure, con le giovani, donne anziane per lavorare, per udire sante letture, per recitare il rosario. Bettina era tanto innamorata di Dio, che parlando con lei la conversazione a poco a poco si levava alle cose di Dio, ma con tale spontaneità, da accorgersene solo quando, toltisi dal suo fianco, si sentiva d’essere divenuti migliori. Inoltre sembrava che ella indovinasse, che leggesse nei cuori, come Gesù al pozzo di Sicar. “La Bettina ha un cuore…e consola tutti sempre” – dicevano le popolane tornando a casa. Quando parla un cuore convinto, acceso dall’amore di Dio e degli uomini, la parola è calda, potentissima.

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Tutt’ora per i giovani è una sfida lasciare il nido famigliare per iniziare una propria vita, in autonomia o formando una famiglia con il matrimonio. Le prospettive di lavoro e di vita sono precarie e si ha paura del futuro non sapendo dove appoggiarsi per trovare delle sicurezze. Così la vocazione di molti (nel senso ampio del termine di chiamata  alla vita e all’amore) riceve una bella frenata e si rimandono le grandi scelte sempre più in là, in attesa di avere delle maggiori sicurezze. Bettina ci invita ad avere, oltre ad una giusta prudenza, anche un audace coraggio di chi è nelle mani del Signore e sa che Egli non mancherà di esserci a fianco con la sua Provvidenza, sostenendo il desiderio profondo di vita piena che abbiamo nel cuore.

La vita nel piccolo Conventino era così scandita: alle ore quattro la sveglia, quindi Messa e Comunione nella vicina chiesa di S. Giusto. Il loro vestito, sebbene di color tané come lo Scapolare carmelitano, era quello delle popolane, ma uniforme. In casa regnava la povertà assoluta: poche stoviglie e due sedie. Un solo scialle in tre, e se lo passavano a vicenda quando dovevano uscire fuori. Eppure diceva Bettina: “Gesù mi ha promesso che, se saremo generose, Egli non ci mancherà mai. Ed infatti la Provvidenza non venne mai meno”. 

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In questa prima esortazione della Beata Madre troviamo racchiuso un programma di vita:

1. POVERTA’ – perchè è Dio la nostra più grande ricchezza. Dio solo basta.

2. UMILTA’ – chi si riconosce come creatura, si può affidare pienamente al proprio Creatore, e non deve più fuggire da se stesso.

3. SANTITA’ – che è ben più di perfezione della propria immagine. E’ l’unione con Dio nell’amore, e dunque unione profonda con tutte le sue creature ed il suo creato.

4. DI NOI AVRA’ CURA IL SIGNORE: questa certezza che è anche fonte di grande speranza, ci rende capaci di dimenticarci un po’ per poterci donare nella carità, e dare molto frutto.

Nel pomeriggio del 15 luglio 1874, vigilia della Madonna del Carmine, la Bettina e le compagne, portando ciascuna il proprio lettuccio di legno, s’incamminarono sotto l’argine del Bisenzio. Il casolare era triste, solitario, silenzioso: una stanza a terreno, umida e scalcinata. Vi entrarono con la gioia con cui altri avrebbe preso possesso di un sontuoso palazzo. 

 

“Bambine, s’ha da essere povere ed umili; andiamo a farci sante. A noi non si deve pensare; di noi avrà cura il Signore”. 

 

E Dio gradì quel distacco generoso ed ardente.

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Lo Spirito Santo elargisce i suoi doni con una creatività straordinaria, e questi doni sanno stringerci a Dio assecondando le nostre naturali inclinazioni e predisposizioni. Ecco che la Chiesa è così ricca di spiritualità diverse, movimenti e modi di pregare e seguire il Signore. Un discernimento importante per ciascuno, nel proprio cammino spirituale, è dunque quello di capire di “che stoffa sono fatto” e che spiritualità è più “per le mie corde”, cosa mi aiuterà maggiormente a fiorire e a seguire Dio. Per Bettina è stata la spiritualità carmelitana, infatti lei e la sua famiglia religiosa uniranno la contemplazione di S. Teresa nella preghiera e il suo fervore per le anime nell’ “azione”, ovvero in tutto ciò che è lavoro e apostolato. L’avventura assume tratti sempre più concreti: ora c’è una spiritualità, dunque una Regola, e un luogo, il cosiddetto “Conventino”, ancora oggi visitabile sulle sponde del Bisenzio. Ormai Bettina e le sue amiche hanno lasciato infatti la casa di mamma Rosa, la nuova fondazione inizia ad assumere tratti sempre più chiari.

Un certo Paoli, negoziante del popolo di S. Maria, fece sapere alla Bettina che ben volentieri le avrebbe ceduto in affitto una sua casetta presso l’argine del Bisenzio, poco distante dalla cappella di S. Giusto. Ma chi avrà la sorte di possedere le primizie di questa fondazione? “Vedremo chi la vincerà, se S. Francesco o S. Teresa” aveva detto alla Bettina il buon Padre Andrea da Quarrata. “No, no! Ha vinto S. Teresa!” aveva recisamente risposto la Beata. La scelta era stata fatta, e alle sue prime congregate la Manetti propose la Regola del Terz’Ordine Carmelitano-Teresiano.

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Siamo nel punto in cui Bettina, pur non avendo ancora ben chiaro a cosa il Signore la sta chiamando, compie un passo concreto. La sua certezza è che desidera essere del Signore, e questo desiderio lo condivide con due amiche. Non ha ancora tutto chiaro, ma si indirizza con determinazione lungo la strada del suo desiderio. L’esperienza stessa la aiuterà a chiarire in se stessa ciò per cui è chiamata. Il Signore stesso le manderà attraverso le situazioni di vita chiari segni che daranno una direzione ai suoi passi. Questo è anzitutto il tempo del desiderio, in cui le tre amiche si mettono in ascolto di ciò che le spinge nel profondo. Esse danno una forma a questo desiderio attraverso le prime scelte concrete che sono per loro a portata di mano: iniziano a vivere a casa di mamma Rosa, facendo una prima esperienza di una vita fatta di preghiera, fraternità e carità.

 

Bettina scelse due compagne, Isolina Paoli e Anna Mariotti, e pensò di vivere stabilmente, in comune, nella sua propria casa. Non incontrò difficoltà da parte della madre e del fratello Raffaello, che si era appena sposato. Anzi, il loro assenso fu pronto e pienissimo, lieti di far cosa grata alla Bettina. Ed ecco la casa Manetti trasformata in un caro, delizioso monastero in miniatura, fragrante delle più belle virtù degli antichi ordini claustrali. La soffitta divenne il dormitorio per le tre congregate e per mamma Rosa. Il sottoscala, buio ed angusto, fu l’oratorio privato della Bettina.

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Nelle vite dei Santi ascoltiamo la storia che Dio ha intrecciato con la singola persona all’interno della sua Chiesa. Dunque non si tratta mai di racconti esclusivi, sempre infatti è un’intera comunità che si santifica e che condivide il cammino verso Dio. Se un volto appare maggiormente rispetto ad altri, come è stato il caso di Bettina, è solo per accendere in altre anime il desiderio di Dio. Dietro ad ogni figura “di spicco” ci sono infatti numerosi volti “nascosti” che ci parlano di quella “santità della porta accanto” citata spesso da papa Francesco. A Don Jacopozzi possiamo riconoscere non solo l’autorità spirituale che ha formato e cresciuto spiritualmente la nuova famiglia religiosa della Bettina, ma anche la qualità di co-fondatore e padre della nuova avventura carmelitana in terra toscana.

Quando la Bettina vide quel giovane prete, alto, robusto, burbero nell’aspetto e accigliato, dai grossi occhiali, provò un moto di sgomento. Eppure era proprio quello l’uomo inviato da Dio in aiuto alla nuova famiglia religiosa che stava per nascere. Si chiamava don Ernesto ed era nato a S. Casciano in Val di Pesa (FI) il 20 febbraio 1844. 

E lo Jacopozzi fu davvero un santo e dotto sacerdote.

Don Ernesto sarà il padre e il fedele cooperatore sotto la cui guida la Manetti fonderà l’istituto religioso delle carmelitane di Firenze. Egli lavorerà efficacemente alla formazione spirituale delle figlie della Bettina.

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Continua la nostra lettura della biografia di Beata Teresa Maria della Croce, la Bettina. Gli inizi sono quasi impercettibili, tanto erano tessuti nella quotidianità del paese di Campi Bisenzio a Firenze. Ma l’amore è contagioso, attrae, è fecondo. È sufficiente il mio sì all’amore e davvero posso essere quel cambiamento che desidero nel mondo, come una miccia che fa esplodere una fiamma molto più grande di quanto la propria piccola realtà lascerebbe immaginare. Per questo i grandi Santi ci stimolano ad avere anzitutto grandi desideri: il Signore li tesserà proprio in quelle circostanze in cui mi trovo, per compiervi opere grandi e meravigliose. Con Lui l’ ordinario diviene straordinario. Con Lui, nulla è banale, ma è il seme di una storia di salvezza e redenzione per me e per molti.

Nel 1868, la Bettina vedeva formarsi intorno a sè un piccolo gruppo di compagne che, pur non conducendo una vita strettamente in comune, attratte dal suo amore operoso, si riunivano in casa Manetti per pregare e lavorare, unite in un solo desiderio, quello di raggiungere le alte vette della perfezione. A Bettina non era mai venuta l’idea di fondare un istituto religioso. Era però il buon seme gettato. Che a suo tempo Dio non avrebbe mancato di fecondare.

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La preghiera ha come primo frutto la carità. Il nostro cuore, in questo esercizio di amore, viene riabilitato ad amare. I movimenti sono sempre due: ci spinge dentro noi stessi, nella nostra interiorità abitata da Dio e spesso disertata per paura o non consapevolezza. Ma poi ci spinge fuori, come per un’abbondanza d’amore ricevuto e sperimentato, che non può essere trattenuto. La preghiera è sempre un movimento del cuore che non si arrotola o attorciglia in se stesso, ma si slancia verso l’altro. è sempre una relazione, con se stessi e con Dio, e in modo naturale anche con le persone che ci sono accanto, fino alle più lontane. Diventa questa anche la chiamata di ciascuno: ascoltare e comprendere qual è il posto nella vita in cui possiamo amare di più. Amare ed essere amati. Davvero il Signore vuole grandi cose da ciascuno di noi, e alla sera della vita sarà proprio questo l’essenziale che resta: l’amore dato e ricevuto. Ecco la testimonianza dalla biografia di Bettina:

“E in casa e fuori, con il nonno ammalato e accolto in famiglia, coi parenti, coi vicini, la sua carità non ha limiti; il suo cuore conosce le altrui pene e vibra con tutti coloro che soffrono. Una bambina preparata da Bettina alla prima Comunione, testimoniò che ella pregava, pregava sempre, perchè il Signore – diceva – adempisse in lei i suoi santi disegni, e ripeteva: sento che il Signore vuole da me grandi cose, ma non so per quali mezzi: spero che in seguito me lo farà conoscere”.

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C’è chi vive la preghiera come una tortura, perchè è un tempo che non sa come riempire, prova noia, non si sa che dire. C’è chi vive la preghiera come un tempo di pace e sollievo, di benessere, in cui decomprimersi rispetto allo stress e alle preoccupazioni. La preghiera ha in sè entrambi gli aspetti: fatica e sollievo. Eppure il punto non sta nè in questo nè in quello. È normale infatti che non solo nell’arco della vita, ma nell’arco di una stessa giornata, si alternino i momenti di aridità a quelli in cui viene più spontaneo raccogliersi. Il punto sta nella consapevolezza che questo tempo è, comunque sia, un tempo molto prezioso, e mai sprecato. È un tempo infatti di autenticità, in cui restare nella verità di se stessi, sotto lo sguardo di Dio, che ama e perdona. La verifica non sta tanto in un’analisi della propria prestazione davanti a Dio, bensì nel vedere se questo cammino di preghiera (più o meno arido) porta frutti di carità. Tanto più questo tempo speso nel silenzio e nel rapporto con Dio mi apre alla relazione con l’altro, mi apre ai bisogni dell’altro, al perdono e all’accoglienza, tanto più è segno che l’amore di Dio ha trovato il tempo e lo spazio per fare radici nella profondità di me stesso:sono dunque sulla buona strada. È quello che si può notare nel percorso di Bettina:

 “Quando mi detti tutta a Dio – racconta Bettina – avevo 19 anni”. Ella si inoltra sempre più nel cammino della perfezione cristiana e pascolo della sua vita divengono la preghiera e la meditazione. È questo il suo rifugio. Nelle ore libere dalle faccende domestiche e dal lavoro fa sua letizia trascorrere il suo tempo nella chiesa solitaria e là rimane lungamente come assorta, che se talvolta si toglie dalla sua profonda meditazione, è solo per correre là dove è un dolore da lenire, una lacrima da asciugare, una sventura da sollevare, e a tutti si porge amorosa e servizievole. La carità di Cristo ha già posto profonde radici nel suo cuore”.

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