I farisei domandano a Gesù quello che già sanno: tutti sanno che la legge mosaica permette il divorzio. Ma Gesù cerca di passare ad un altro piano:
DAL piano dell’osservanza della regola, di lecito/non lecito, posso? non posso?
AL piano del valore da custodire, del significato che si trova alla base della regola stessa.
La legge mosaica permette il divorzio per la fragilità dell’uomo, per la durezza del suo cuore, ovvero per quel suo atteggiamento che si irrigidisce nel proprio modo di vedere, nelle proprie posizioni. L’uomo a volte si indurisce e si chiude fino al punto da non riuscire ad amare, ovvero ad accogliere l’altro lasciandosi da lui anche un po’ cambiare e smussare, così da rendere possibile l’unione.
Gesù allora ci aiuta a prendere consapevolezza che non si tratta solo di una regola da rispettare o meno. Si tratta invece di qualcosa di più profondo: la posta in gioco è di tipo esistenziale, ne va del senso della nostra esistenza, ne va della nostra vera gioia. Nella relazione di coppia, infatti, come in tutte le nostre relazioni, quello che noi cerchiamo e desideriamo, e che ci dona un senso di completezza e compiutezza, è l’unione, la comunione, che ci fa assaggiare qui sulla terra l’ eternità, quando vivremo l’unione completa con Dio.
Nell’incontro profondo con l’altro facciamo esperienza di Dio, questo è il significato delle nostre relazioni, cui ci vuole condurre il Signore.
L’essere umano si realizza solo se ha qualcuno davanti a sé: un aiuto che gli corrispondesse (Gen 2,20). L’essere umano ha bisogno di uno che gli risponda. È questo per la Genesi il senso della duplicità insita nell’umanità: maschio (iš) e femmina (išša). Quando ci isoliamo, quando non ascoltiamo più nessuno, quando ci chiudiamo nel nostro mondo, quando l’altro è sempre e solo un nemico, tradiamo la nostra dimensione umana! (Gaetano Piccolo)
Perchè l’unione sia possibile, ci viene chiesto di accogliere la debolezza, dell’altro e nostra, consapevolmente. Il bambino è proprio il simbolo di ciò che è più vulnerabile e bisognoso. Si tratta di rinunciare a relazioni di possesso dell’altro, rinunciare a relazioni “usa e getta”, di manipolazione o controllo, per scegliere delle relazioni autentiche, in cui stiamo di fronte all’altro “nudi”, nella nostra verità, e così ci doniamo, e permettiamo all’altro di donarsi a noi nella sua diversità. Abbiamo bisogno di relazioni in cui ci prendiamo cura l’uno dell’altro, l’uno della fragilità e piccolezza dell’altro, affinchè non degenerino in relazioni distruttive, ma siano relazioni in grado di generare vita.
Siamo accorti nel formare e nel conservare l’unione coniugale, amiamo la parentela a noi concessa. Se coloro che sono stati separati in lontane regioni sin dal tempo della loro nascita ritornano insieme, se il marito parte per l’estero, nè la lontananza nè l’assenza possano mai diminuire l’amore reciproco.
Unica è la legge che stringe i presenti e gli assenti: identico è il vincolo di natura che stringe, nell’amore coniugale, sia i vicini sia i lontani; unico è il giogo benedetto che unisce i due colli, anche se uno deve allontanarsi assai in regioni remote: hanno infatti accolto il giogo della grazia non sulle spalle di questo corpo, ma sull’anima.
(Ambrogio, Exameron, 5,18)
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