Penso che Dio abbia inventato noi persone consacrate, come tutti gli altri credenti, per portare la luce del Vangelo a modo nostro nei diversi tempi, culture, luoghi, situazioni in cui viviamo: per essere infine quella stessa luce. Siamo qui per mostrare che la ricerca di Dio è assolutamente essenziale e che questa ricerca dà un centro a tutte le altre “ricerche”: il bisogno e il desiderio di Dio è come un centro di gravità, senza il quale ci disintegreremmo e ci frantumeremmo in un universo di desideri, bisogni, pensieri, emozioni…
Ma per certi versi nei nostri conventi non siamo diversi da qualsiasi altro credente – in fondo, vogliamo tutti seguire Cristo. Abbiamo tutti bisogno di abbandonarci alla corrente d’amore che ci anima, ci attraversa e continua ad animare il mondo in cui Dio ci ha posto. Non siamo molto diversi nelle nostre relazioni interpersonali: viviamo i nostri drammi individuali e sociali e spesso non sappiamo affatto vivere insieme come vorremmo, ci feriamo a vicenda, deludiamo le nostre aspettative e quelle degli altri, sappiamo esattamente cosa dovremmo fare ma non lo facciamo… Siamo fragili e miserabili come qualsiasi altro essere umano, nonostante i nostri voti di castità, povertà, obbedienza… o qualsiasi cosa abbiamo scritto nei nostri ordini religiosi. Il più delle volte non siamo migliori delle altre persone, umanamente parlando. Vivere in una comunità religiosa a volte può essere, se non un inferno, almeno un purgatorio.
Allora in cosa siamo diversi? A differenza di chi ha pronunciato i propri voti di vita all’interno di un’intensa vita familiare o si è dedicato al lavoro per gli altri, noi religiosi nei nostri conventi non abbiamo assolutamente alcun alibi per non lavorare su noi stessi, interiormente. Ciò significa decidere davvero, ogni giorno, con serietà, di consegnare al Signore tutte le nostre fragilità, tutto di noi stessi, senza smettere al contempo di credere che tutto ciò che gli consegniamo sarà da Lui trasformato per santificare il suo nome in noi, affinché grazie al nostro abbandono Dio diventi davvero sempre più chiaramente presente al mondo attraverso tutto il dolore e la gioia, attraverso ogni desiderio, pensiero, gesto e azione che viviamo e gli offriamo.
Dai primi secoli a oggi è vero che le persone consacrate ci sono per Dio e per gli altri: ma forse in modo diverso da come pensiamo. Consacrare la propria vita a Dio significa principalmente permettere allo Spirito di Dio di operare con me, di “disturbarmi” costantemente. Significa accettare di lasciare che lo Spirito mi conduca continuamente a uscire dalle mie certezze. Significa consentirgli di guarirmi affrontando il mio passato, le mie cadute, le mie paure, le mie tensioni interiori e integrandole nell’insieme della vita, affinché Dio, a cui nulla rimane nascosto, possa finalmente risplendere. Dargli tutto significa, a volte, raccogliere tutto il mio coraggio e lanciarmi proprio nell’epicentro di ciò che temo di più. Essere religiosi, oggi, significa accogliere la chiamata alla lotta spirituale, non tirarsi indietro e persistere in essa con la speranza che tutto vada bene. Siamo nelle mani di Dio.
La nostra lotta avviene nella consacrazione a te, Dio. Tutto ciò che è mio è anche tuo: tu mi porti, mi guarisci, mi fortifichi, mi resusciti dove è necessario. Ciò che è tuo è mio: sei la mia forza, il mio sostegno, il mio conforto.
Stiamo attraversando questa lotta spirituale per tutti, affinché tu abbia sempre più spazio nel mondo, in ognuno di noi, affinché possiamo vivere del tuo amore e nel tuo amore: questo è anche il modo in cui siamo qui per gli altri . Vivere in modo tale che Dio sia soddisfatto di noi e che la nostra gioia sia piena.
Amato Dio, uno e trino, tu ami tutto ciò che hai creato, a tutti dai la vita e tutto benedici: completa dunque l’opera di consacrazione che hai iniziato in ciascuno di noi. Fa’ che possiamo irradiare la tua vita divina con le nostre vite e diventare ciò che dovremmo essere, possa il mondo intero con noi crescere sempre più profondamente nel tuo amore, giorno dopo giorno.
Denisa Červenková
intervista apparsa su https://www.vaticannews.va/cs/
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