150 anni – una storia di santità 4: LA PREGHIERA

C’è chi vive la preghiera come una tortura, perchè è un tempo che non sa come riempire, prova noia, non si sa che dire. C’è chi vive la preghiera come un tempo di pace e sollievo, di benessere, in cui decomprimersi rispetto allo stress e alle preoccupazioni. La preghiera ha in sè entrambi gli aspetti: fatica e sollievo. Eppure il punto non sta nè in questo nè in quello. È normale infatti che non solo nell’arco della vita, ma nell’arco di una stessa giornata, si alternino i momenti di aridità a quelli in cui viene più spontaneo raccogliersi. Il punto sta nella consapevolezza che questo tempo è, comunque sia, un tempo molto prezioso, e mai sprecato. È un tempo infatti di autenticità, in cui restare nella verità di se stessi, sotto lo sguardo di Dio, che ama e perdona. La verifica non sta tanto in un’analisi della propria prestazione davanti a Dio, bensì nel vedere se questo cammino di preghiera (più o meno arido) porta frutti di carità. Tanto più questo tempo speso nel silenzio e nel rapporto con Dio mi apre alla relazione con l’altro, mi apre ai bisogni dell’altro, al perdono e all’accoglienza, tanto più è segno che l’amore di Dio ha trovato il tempo e lo spazio per fare radici nella profondità di me stesso:sono dunque sulla buona strada. È quello che si può notare nel percorso di Bettina:

 “Quando mi detti tutta a Dio – racconta Bettina – avevo 19 anni”. Ella si inoltra sempre più nel cammino della perfezione cristiana e pascolo della sua vita divengono la preghiera e la meditazione. È questo il suo rifugio. Nelle ore libere dalle faccende domestiche e dal lavoro fa sua letizia trascorrere il suo tempo nella chiesa solitaria e là rimane lungamente come assorta, che se talvolta si toglie dalla sua profonda meditazione, è solo per correre là dove è un dolore da lenire, una lacrima da asciugare, una sventura da sollevare, e a tutti si porge amorosa e servizievole. La carità di Cristo ha già posto profonde radici nel suo cuore”.

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