La preghiera ha come primo frutto la carità. Il nostro cuore, in questo esercizio di amore, viene riabilitato ad amare. I movimenti sono sempre due: ci spinge dentro noi stessi, nella nostra interiorità abitata da Dio e spesso disertata per paura o non consapevolezza. Ma poi ci spinge fuori, come per un’abbondanza d’amore ricevuto e sperimentato, che non può essere trattenuto. La preghiera è sempre un movimento del cuore che non si arrotola o attorciglia in se stesso, ma si slancia verso l’altro. è sempre una relazione, con se stessi e con Dio, e in modo naturale anche con le persone che ci sono accanto, fino alle più lontane. Diventa questa anche la chiamata di ciascuno: ascoltare e comprendere qual è il posto nella vita in cui possiamo amare di più. Amare ed essere amati. Davvero il Signore vuole grandi cose da ciascuno di noi, e alla sera della vita sarà proprio questo l’essenziale che resta: l’amore dato e ricevuto. Ecco la testimonianza dalla biografia di Bettina:
“E in casa e fuori, con il nonno ammalato e accolto in famiglia, coi parenti, coi vicini, la sua carità non ha limiti; il suo cuore conosce le altrui pene e vibra con tutti coloro che soffrono. Una bambina preparata da Bettina alla prima Comunione, testimoniò che ella pregava, pregava sempre, perchè il Signore – diceva – adempisse in lei i suoi santi disegni, e ripeteva: sento che il Signore vuole da me grandi cose, ma non so per quali mezzi: spero che in seguito me lo farà conoscere”.
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